sabato 21 marzo 2009

La corsa

Stavamo andando a casa di mio zio, in macchina. Mio padre abbassò gradualmente la musica, usando il tasto “v” sul volante.
“Tua madre si candida per diventare sindaco¡”
“Perché stranamente parla a bassa voce? L’ho sentito a mala pena”, pensai. E questa cosa mi incuriosì. Era riuscito ad attirare la mia attenzione, una volta tanto. Di sicuro si era allenato per frenare la voce. Doveva trattarsi di una cosa davvero importante.
“Cosa ne pensi?¡”, proseguì.
“Avete già deciso, non serve chiedermelo”
“Serve~”
“OK. Comunque non sono d’accordo”
“Perché?”, chiese mia madre, sporgendo gentilmente la testa dal sedile. Allenata anche lei. Notevole.
“□”
“□”, mamma non capiva il mio silenzio
“□”, né papà la mia pausa perplessa.
Li accontentai: “Ti sbraneranno: hai dalla tua il peso dei fatti e dell’onestà. Avevi la rabbia e l’aggressività: non credo ti sarebbero servite a molto, ma almeno eri tu, eravate voi, vi riconoscevo. Ora questo tono pacato, politico, per provare a sfidarli sullo stesso piano… non va, gioca a loro favore. Voi non siete così. Non potete sfidarli. Loro usano le bugie, le mazzette, il phard.”

“Non pensi di esagerare?”
“□”
“□□”
“No.”
“Anzi” aggiunsi “voglio scommettere le paghette dei prossimi 3 mesi che perderete. Accettate?”
Non risposero. Perché i cancelli della residenza estiva di mio zio si stavano aprendo. Avevano poco tempo (anche se il viale era lungo) per organizzare il discorso più soft possibile per far sì che appoggiasse la candidatura. Zio aveva due amici tra i rivali. Avrebbe tentato di mediare, probabilmente di inserire mamma nella loro lista in posizione subalterna perché “loro sono più esperti in politica”. Dovevano restare calmi, umili e disponibili per sperare di ottenere qualcosa di più dal beneamato zietto.
Tre respiri trattenuti e la macchina si arrestò davanti ai gradoni di marmo. Subito un anziano, uscendo dal portone in pantofole, cominciò a sbracciare col suo sorriso d’oro che si abbinava bene al legnoso sigaro spento che masticava lateralmente.
“Uééééé, che sorpresaaa!” Si avvicinò al finestrino in attesa di abbracciarci.
Papà lo abbassò e disse rapido: “Silvana si candida. Crede sinceramente che le cose in paese vadano male. E che qualcuno debba impegnarsi attivamente per migliorarle” … proseguì lei: “lo faccio per giustizia, e per amore, perché lì intorno a noi è tutto marcio, non si può più vivere così. Io voglio e devo farlo. Mi voti?”
La faccia di zio si strinse in un altro grasso sorriso. “Bene, bene”, disse. “Parliamone, potrei aiutarti, credo, entrate”.
“Non ti ho chiesto aiuto. Ho detto:”Mi voti?””
“Sì, la voti?”, ripetè papà dal sedile più vicino.
“□” fece lui aggrottando la fronte, senza però intaccare il suo famigerato riso.
“Niente pause, esigiamo una risposta.”
“□”
“Subito.”
“■”
“??”-lo incalzarono.
“■” continuò zio, provando ad imporre il suo silenzio ormai nudo.
“Vigliacco!! Falso!! Coniglio!! Viscido!! Stronzo!!” tuonarono i miei genitori.
La nostra vecchia Lancia ripartì proprio quando un sigaro cadeva da una faccia finalmente seriosa.

Mentre guardavo dal finestrino gli alberi che ci schivavano terrorizzati, pensai: “Ce l’ho fatta. Sono finalmente tornati sani. Ora posso aiutarli. Sarà dura continuare la corsa. Ma sempre meno di prima di fare visita a zio”.




P.S. Ringrazio J. S. Foer per avermi insegnato nuove tecniche di punteggiatura. Mi scuso per non avergli chiesto il permesso di usarle, ma sono sicuro che mi avrebbe risposto di sì. Ci tengo a chiarire che la mia famiglia non si impegna per arrabbiarsi: noi siamo in scioltezza dei signornò.

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