Il paese è deserto.
Solo carcasse in miniatura rotolano decise verso i margini.
Tutte le luci sono spente, anche lungo la pista per il Canyon.
L'unico posto illuminato è il nuovo saloon dorato.
Lì, tra rutti e sghignazzate, si continua a tracannare colluttorio.
Ma l'atmosfera è acida e i ricordi pesano.
Le porte arrossate si spalancano e il piccolo Dalatte annuncia:
"Stanno arrivando, Pepita può uscire".
Il ricco padrone della bettola di lusso saluta la sua carnosa puttana
e si avvia verso la strada viscida.
Una fitta alla radice lo fa dondolare come un sogno premonitore.
"Sarà una notte magnifica", sibila
accarezzando la macchinetta a schioppo
che fornirà la panoramica della sfida.
E' raggiante: con la promessa di un po' del suo oro
ha attirato nella vecchia Mouthville
i tre più famigerati mastini delle terre inferiori
e degli altopiani circostanti.
Sono lì, ognuno di fronte agli altri:
-il Sano (che spazzola distante i suoi coltelli luccicanti)
-il Cariato (allungato e fiero della sua sporcizia)
-il Canino (che dà a pelle l'impressione della sua spietatezza).
Pepita, silenzioso, svuota il sacchetto con la polvere d'oro
e proclama:
"Distanziatevi e siate pronti:
al terzo respiro del Grande Alito potete attaccare".
Sono schierati.
Il primo soffio che sale dalla gola fa rabbrividire le ragazze
affacciate ai balconcini sopra l'impalcatura metallica;
la coroncina fluoreale di una di loro scivola via.
Il secondo, più deciso, zittisce anche il blues dei Piombati
seduti nel ghetto, a est.
Il terzo...
si fa attendere...
e la saliva aumenta,
i trapani fremono nell'attesa di essere sfoderati,
il silenzio echeggia e rimbomba...
fino al segnale...
eccolo!
I tre sono scaltri e si scagliano senza esitazione nè rimorsi.
Sfogano così le loro ansie quotidiane.
E' la loro filosofia di aguzzi mercenari: niente giudizi morali
(nè tantomeno molari, i peggiori,
roba da ignavi che si nascondono nelle retrovie);
per loro hanno importanza solo i verdoni
e la dimostrazione di non aver perso lo smalto di un tempo.
La battaglia è tremenda:
dignignamenti, schegge e polpa che ricoprono il terreno poroso
e rimbalzano fino alla volta affrescata da costellazioni sinuose.
E' un suicidio, ma loro continuano imperterriti, fino all'alba.
Pepita si gratta soddisfatto.
Loro non mollano la presa, fino all'ultimo.
Sono sfiniti, tritati. Non c'è un vincitore. Solo Pepita.
Così alla sprovvista si apre su quella situazione
uno squarcio di mondo
che illumina le tre macerie biancastre.
Si girano su un lato per non perdersi ormai quasi devitalizzati
quella luce angelica,
quel cono sfavillante
che riesce a zittire e oltrepassare anche il Grande Alito.
E' davvero Dio?
"Certo", pensano.
E hanno ragione.
E' il solo in grado
di disporre della pasta bianchissima con cui li sigilla,
panacea dal profumo soave e dai risultati miracolosi.
E infatti li rimette in sesto, completamente.
Possono vivere, nell'attesa di nuovi sogni.