lunedì 14 novembre 2011

I sentimenti, di nuovo.

Come vecchie pellicole che girano opache,
con ombre docili e rumori sensati,
gli anni eleganti ci dissero ciao,
benevoli, amati, rubati.

Portavi con te sempre la stima,
i sorrisi venivano senz'esser chiamati.
Il cuore senz'altro non si affannava
in ricerche, conquiste, accordi.
Niente purezza né tanta passione.
Era il centro a guidar le parole.
Senza rancore.
Gli anni eleganti ci dissero ciao,
felici, regressi, stupiti.

Ma come? -chiedo a me stante- era tutto sicuro,
come fieno, coperte e candele?
I tradimenti segreti, i pianti, le sberle, così romantici,
non rosicchiavano?
Facevano vivere.
E' la tua stanza scarna che mi dice così:
proteggiti, inspira e alza la testa.
Come un pugile pieno di botte
non crede alla paga, all'avversario, alla madonna.
Il suo pensiero leggero va al guanto destro,
la sua strada fermatempo, la fierezza dell'istante.
Gli anni eleganti ci dissero ciao,
colpiti, ottusi, speciali.

Quella normalità degli anni eleganti
è semplice risposta al caos.
Voglio una via, voglio i tuoi giochi,
voglio esser tradito,
la sfida della riconquista,
voglio tracciare il cerchio dei giorni
con lacrime, canti e saltelli,
con te davanti al cancello dei nostri incontri.

Gli anni eleganti ci dissero ciao.
Gli anni eleganti ci dicono: Ciao.

martedì 22 febbraio 2011

Fanzine. Freddezza. Femme fatale.












Vederci vivere tra i '60 e i '70
era tutta un'altra musica,
vero Frigidaire?
Non avevi bisogno di cappotti pastello
per sentirti sincera:
il fumetto era ancora in bianco e nero.
E le tue mani non si ritraevano dalla sporcizia:
psichedelia e io eravamo i tuoi colori.












Sai Frigidaire, a volte
penso che non ci siamo mai lasciati;
che la polvere è solo sulla copertina;
che eri bella e non mi raccontavi balle,
semmai balloon;
che in fondo si potrebbe ricominciare
da pagina 1.
Ma poi rammento che non sei una storiella,
nè informazione.
Tu sei satira:
demodé, beffarda e progressista
(il tuo prezzo aumenta immancabilmente).












Sei una troia Frigidaire.
Distante e irresistibile.
E' per questo motivo che
le fiamme del mio amore
non riusciranno a mandare in fumo
la nostra storia condensata.

domenica 21 novembre 2010

Gilberto

Così immagino e ricordo.
Guardando un incontro di boxe
a notte fonda
non ti curavi del silenzio circostante
perché riuscivi a concentrare l'attenzione
su gesti automatici, eleganti:
accendere una sigaretta, ascoltare il den den
che scandisce ogni ripresa,
spostare il posacenere, appoggiare lentamente il corpo
al tuo posto, a sinistra
sul divano.
Tutto qua?
La vita semplice.
La vita semplice
mi ripeto
quando mi rigiro nel dormiveglia, nervoso
alla ricerca
del sonno
o di qualche incontro da combattere,
di una sigaretta
o del mio posto.
Ripenso a quando rientravi a casa di nonna,
al crepuscolo.
La stufa crepitava.
I soldatini si fermavano
e voltavano.
Nonna, anche se non lo dava a vedere,
era più tranquilla. E felice.
Bruscamente,
tornava la calma.
Tutto al proprio posto.
Sì, la vita semplice
è tutto.

venerdì 12 novembre 2010

Piccoli sposi della terra di certo non decrescono: la giusta (dis)soluzione.

Ossia perché lo splatter televisivo necessita di succo di pomodoro biologico e l’ambientalismo ha bisogno di carne anche non fresca.



Vero. Il pianeta chiamava. Chiedendo aiuto. Comprensione. Implorandoci.
Cuore svuotato del suo rossore. Pattumiera di chimici e frasi fatte. Rivoluzione. Verde e verdura. Sussistere e concimare. Ecosistema e santa frugalità.
Che bravi. I.L.L.U.S.I.
Non ci riuscimmo.
In quel modo, per lo meno.
Cosa puoi aspettarti da un mondo che somiglia sempre più a una grinzosa digrignante zucca di fine Ottobre?
Tutto iniziò così.
Che solo alcuni risposero davvero alla voce. Quelli di cui non ci si può fidare.
E quando un gruppo di pazzi addirittura pianifica, ci si può aspettare di tutto. Anche che il tutto riesca.
Volontà e sregolatezza estreme è come se paradossalmente plasmassero un cuneo, geometria dal gorgo. Alla base c’è furore, mentre al vertice risiede la soluzione. Finale.
Gli eruditi ci hanno sempre ricordato che quando un manipolo di pochi prende l’iniziativa per rivoltare lo Stato di cose esistente inevitabilmente fallisce. O degenera.
Loro si aggrapparono a questa seconda opzione.
Erano come giovani sanguisughe, così piene di vita.
I «Coloni di Antilicia» o gli «Anti Licia Colò-ni». Come dir si voglia, un collettivo di ignoti.
Senza nomi ma alla ricerca di qualcuno che desse loro visibilità.
Complotti e cronaca spicciola hanno meccanismi in comune. Sono idee-modellino.
C’era bisogno del baby-costruttore. L’apprendista burattinaio. Il brizzolato. L’uomo-voce. Sì, proprio Lamberto.
Si presentarono a Saxa Rubra in grande stile.
Si stava parlando di Sara quando il gas dalle condutture entrò nello studio. Inodore, incolore, come l’acqua o una notizia, fresche e trascinanti. «Siamo in onda...»
Pochi colpi di tosse. In diretta. Seguiti da un attacco improvviso e diffuso di forfora e manicure estrema. Rughe facevano da coreografia. Pustole comparvero sulle tempie e sui colli di esperti e vallette. Le gengive del conduttore si ritirarono fino al cuoio capelluto. La sua faccia come un Emoticons.
Trucchi del mestiere? No.
I Coloni avevano sintetizzato un filtro. Qualcosa tipo papavero marcio e steroidi scaduti. Affloscia i tessuti ma fa ballare le onde cerebrali. Insomma ammazza e rimette al mondo.
Le icone cambiano, il lavoro continua.
Erano Zombi.
...
?!?
...
Pas mal. Sarebbe bastato cambiare di un tantino il titolo della trasmissione... “La vita indiretta”. Sì.
E se le news da succose diventano bavose ben venga.
Non è questo che volevate, gente? Scoprire il nostro interno senza meditare e le nostre interiora senza morire.
Perciò il loro progetto funzionò. Ci mostrò di che pasta siamo fatti: linfa, grugniti ed emozioni sdentate.
Gli ascolti scoppiarono quando nella seconda puntata alcuni complici del com-plot iniettarono la sostanza anche nei cadaveri delle vittime dei delitti trattati. I teatri del crimine tornarono in vita. Non morti a inseguire cacciatori di scoop. Inquadrature affilate. E dunque corpi mozzati. Vero cannibalismo mediatico.
Uno scpetàcolo.
La macchia di muffa umana si allargò in ogni direzione.
E Lamberto dedicò ben tre speciali ai casi più eclatanti.
Non possiamo risparmiarveli.


1. Titolo: La concorrenza sleale può risultare letale.
Voce fuori campo: Sposini.
Riprese: Testa, Colasangue e Destomacis.

Così senza pagarci i diritti provarono a riversare la corrente di bile nel loro canale. In prima serata, per giunta.
Il paroliere Bonolis presentò a gran voce la sfilata. Il menestrello Laurenti intanto se la rideva. Acuto.
Prima fazione: «Aaanoressiche di giorno!» Poi “di sera”, “in discoteca” e “a letto”. E vennero descritti femori che si accavallavano con maestria, menti doppio zero e schiene da far invidia a uno stegosauro.
«Invece di là, in qualità di sfidanti, signore e signori, pubblico de noantri, microcefali e maggiorate della quinta rete, ecco a voi... glii Zooombiii!» Ad ogni ora e in qualsiasi posizione. Barcollanti, striscianti e slinguazzanti.
La sfida ai punti fu apertissima fino alle battute finali: i due schieramenti erano troppo simili. Dunque sfida all’ultimo sangue. Perciò la spuntarono i morti viventi.
Andò che il pubblico non sapeva proprio chi votare. Quei tizi con gli occhi strabuzzati lì sulle gratinate erano l’ultimo baluardo dell’Ancien Régime televisivo e modaiolo. Volevano tettone e culi tondi vecchio stampo. Non quell’ossuto flaccidume.
E quindi si incazzarono di brutto. Iniziarono a fischiare e sbraitare. La tensione saliva. Lanciarono binocoli e poltroncine. Guerriglia da studio anziché da stadio. Le scenografie tremarono. Teatro di scontri. I banchi dei concorrenti vennero divelti. Lotta in classe più che di classe. I tempi sono cambiati.
Il gruppo pelle e ossa indietreggiò terrorizzato. La fazione zombie invece avanzava lentamente costole a terra. Come un esercito di lumache. Chiaramente con annessa scia di bava.
Gli indignati li evitavano o schiacciavano. Impazziti. Come Goti che non trovano gote paffute, ma solo resti di vite e viveri. Rossi di rabbia e di orgoglio rurale e capeggiati da Odoreacre, sfasciavano ogni cosa al loro passaggio.
Davano la caccia al duo di imbroglioni, al «Mignolo e Prof della Capitale».
Questi si erano rifugiati sulla scala di Madre Natura, ora debitamente e meccanicamente sollevata da terra. Erano al sicuro lassù. Ma, guardando in basso occhi famelici, uno piagnucolava con la sua voce all’elio di rimpiangere i tempi del pianobar, mentre l’altro urlava citazioni del pupazzo One, che a Bim Bum Bam gli aveva insegnato l’arte della conduzione, con l’intenzione di placare coscienze infantili.
Non funzionò.
I cavernicoli si fermarono sotto il ponte sospeso e si riunirono in breve concilio di guerra.
Mascherando la loro ira si allontanarono.
Fu allora che il capobranco guardò verso l’alto, con aria di sfida, i due presentatori appollaiati come due gattini spauriti in cima a un albero (in tal caso proprio all’albero della vita, sede di Madre Natura che se l’era svignata da un pezzo).
Odoreacre ghignò. Mentre smorfie di dolore distorsero i visi dei suoi commilitoni.
Lo sguardo degli assediati scese lentamente verso il basso.
E videro... oh Cristo... videro in faccia la loro fine.
Spruzzi di sangue e tartaro infetti alle caviglie: i truzzi si erano lasciati mordere!
Avevano accettato la mutazione, il progresso stagnante, la via melmosa.
Li avrebbero presi per fame. In tutti i sensi.
Cari telespettatori, che dire a questo punto se non: «CiaoCiao Darwin”. L’evoluzione ha preso una nuova piega. O meglio una nuova... ruga».


2. Titolo: Le notizie al fresco sono sempre dell'ultim'ora.
Voce: Sposini.
Servizio: solo Destomacis (Testa è caduta e Colasangue è rimasto a secco).

Nessuno crederebe che un carcere di massima sicurezza del Ventunesimo Secolo possa essere fatto ancora di pietra. Umido e tetro come i castelli dei cari vecchi film della Hammer.
Ma per le interviste giornaliere agli assassini serviva un luogo simile. I filmati risultano così più naturali. Pallidi. Sinceri.
L'atmosfera è tutto. Ve lo ripeterò fino alla nausea.
Così l'avevano messa nel sotterraneo più buio. La fossa.
Aveva capelli più corti. Stesso profilo acuto e occhi tra lo spaesato e lo spiritato. Mento leggermente sollevato. Camice. Bianco. Come la bara di suo figlio: per gli italiani Samuele, per lei il mio Samuele.
Stava marcendo lì sul fondo tra squittii, dolori e pazzie, estreme. Non capirete mai. Mai.
Il raptus non dà spiegazioni di sorta. Tutt'al più di sorte. Rapisce. E basta.
Ma gli scienziati del penitenziario volevano studiarla. La chiamano ancora scienza. Sì, chiamano "conoscenza" quel gioco macabro. Analizzavano le reazioni della donna a stimoli inferti. E infetti. Suggeriti dalle loro idee cognitive e cervellotiche o dall'invidia di altri ospiti di quell'hotel dell'orrore oppure dal pubblico a casa, giovane e attentissimo. Imparziale. Scientifico.
E' facendo pena che sconti la pena. Colpisci, attrai, vivifica con la morte e vincerai. Semplici regole paradossali da showbiz apotropaico.
Per questo l'edificio gotico riecheggiava di lamenti di bimbo, generati da vecchi grammofoni celati in nicchie murate. E per questo le guardie andavano in giro con il ciucciotto. E di notte pannolini svolazzavano tra le grate come ectoplasmi dal puzzo davvero infernale. Altre volte alla donna i giornalisti comunicavano che era stato trovato il vero assassino o che il piccolo Samuele era vivo, da qualche parte, e poi morto, vegeto, di nuovo ucciso e così via, in una spirale malata e senza fine.
Fino a quella sera. La svolta. La rivolta. Le grand final.
A mezzanotte iniziò a percepirsi un fruscio quasi uniforme sui pavimenti levigati dallo sgocciolio. Forse piedi nudi. O carcasse? Vermi? Mostri?
No. Forse proprio solo piedi nudi. Per ora.
Avanzavano e avanzavano. E con l'avvicinarsi il suono attutito diventava più lento. Ondeggiante. Tremendo.
Due occhi sgranati comparvero all'interno della fessura della porta blindata numero 9. Accanto campeggiava una parola in caratteri metallici e vittoriani: FRANZONI.
"Stanno venendo da mee-e?", contorse il collo. "Per mee-e?", pensò la donna. Se può dirsi pensare un miagolio instabile che affluisce alla scatola cranica. Mosse gli occhi rossi in orizzontale. Più volte.
La sua attenzione si posò infine sull'angolo a sinistra. In fondo.
Piedi scalzi. Come previsto.
Ma tanti piedi scalzi. In fila. E bordi di vesti bianche che lambivano le caviglie. Le lampade pallide illuminavano solo quella zona in basso. Le gambe si misero in moto verso la sua stanza.
Sembravano particolari di una processione dantesca. Pezzi di pastorelli diretti alla Grotta. Presepe tetro. Cittadini che si riuniscono in assemblea anche se sanno già chi è il Capro.
«Ti vogliamo fare un dono, numero 9. Hai vinto.»
Non capiva. Ombre la guardavano e lei non capiva.
Entrarono e la accerchiarono. Sacerdoti e anonimato. Affiliati e redentori.
Una esile figura le porse un gomitolo di fasce.
Lei, lenta, lo accolse in grembo senza fissarlo.
Poi, delicatamente, scostò un lembo e abbassò lo sguardo.
Si riconobbero subito.
E si mossero all'unisono.
Un mostriciattolo descuamato scattò come una serpe voodoo, mentre una strega sommersa riapparve arcuata da incubi lontani e impronunciabili.
Fu un abbraccio complice, vendicativo, indimenticabile.


3. Titolo: Z contro Z (cioè Zombi contro Zingari), lotta in coda all'umanità.
Speaker: Sposini.
N.B.: E' un servizio audio per mettere in risalto la voce del conduttore (e perchè Destomacis è stato trasferito a Scorie e poi espulso).

L'accampamento di tende dai colori sbiaditi era forse l'ultimo baluardo contro l'orda carnivora.
Sapevano che sarebbero stati attaccati perchè "carta canta" (e quelle delle loro veggenti suonano pure la fisarmonica).
Ma, «per la Madonna nera», sono pur sempre zingari! E niente dà loro preoccupazione, se non ha pilastri o guadagno fisso.
Così continuarono a far pascolare i cavalli intorno alla roccaforte (senza rocca né tantomeno forza) e a versare liquore ai bambini perchè dovevano -a maggior ragione in quella situazione- bruciare le tappe (e anche i residui di cibo nello stomaco per risultare meno appetitosi).
Il tutto mentre le colline circostanti si riempivano di esseri affamati e sbrodoloni.
Il tutto con una calma sonnolenta e furba.
Mantre il mare umanoide si chiudeva intorno all'isolotto di pezza, la comunità si riunì in cerchio. Confabularono per qualche minuto. Risero. Poi si abbracciarono, tutti. Le donne si scambiarono bracciali, amuleti e anelli e arruffarono i capelli dei figli. I mariti sculacciarono con maestria i sederi delle loro mogli e delle altre donne. I bambini arrotolarono i baffi dei nonni e simularono di estrarre i loro anziani denti d'oro. La loro eredità.
Dopodiché gli abitanti si guardarono e annuirono, diventando di colpo seri. Serissimi. Impassibili. Proprio come una comunità che ne ha viste tante ed è perciò rilassata, ma quando il vento cambia sa bene quello che deve fare.
Tre giovani si staccarono dal gruppo per sfrecciare in una delle tende centrali. Erano Harlias il letterato, con i suoi occhialetti d'oro, Màrya la sarta, con cinturone munito di fascette e fili policromatici, toppe e aghi di ogni tipo, e Zoran «El guante de Dios», per aver sfilato il borsello a Maradona in persona durante un funerale ai quartieri ispano-napoletani.
Gli altri intanto, madri, padri, vecchi, figli e figliastri, sfoderavano tutto il loro potenziale difensivo: spranghe, vecchie colt e doppiette, piedi di porco, naturalmente fruste da circo e persino manette, leopardate.
Crearono due ali, a imbuto. Al vertice alto stavano gli anziani, imbottiti di rakia come spugne; nelle retrovie donne e bambini presidiavano lo spiazzo davanti alla tenda centrale, protetta alle spalle da roulotte e carretti parcheggiati.
Lo scontro incominciò senza esitazioni. Né grida di battaglia che possano dirsi tali, cioè uniformi, tribali, codificate.
Le urla maggiori infatti furono quelle dei primi della disposizione (i vecchi), che, mentre iniziavano ad essere sbranati, fracassavano fiaschetti in testa agli zombi e sgocciolavano il contenuto nelle lingue pestifere, sentenziando, moribondi, alla rinfusa: "B'vììt, bevete, uagliòni. Questa è medicina. Così può essere ca vi passa il coléééra."
I giovani adulti intanto staccavano arti a cinghiate e, tra una frustata e l'altra, si pettinavano i capelli impomatati e sbraitavano rauchi: "Aé. Aé. Venite, venite pur avant. Ma ordinati, asinoni, più ordinàààt!"
Le donne aizzavano dal fondo del canale zingaro e, per far sì che i bambini avessero il tempo di ricaricare le fionde, lanciavano oggetti vari -ed eventuali-: lampade rococò, ferri di cavallo e alle ultime battute anche sfere di cristallo. Destino che rotola.
La calca avanzava e divorava.
Le linee difensive erano cortissime, quando tre orgogli della Nazione Rom corsero fuori dal tendone, si infilarono nell'insenatura comunitaria e... si gettarono con tutte le forze verso il nemico... scomparendo tra corpi deformi.
Fu l'ultimo gesto riconoscibile del gruppo nomade.
Il resto sono resti. I superstiti vennero maciullati. Tutti. Tra i cadaveri infatti sarebbe stato possibile riconoscere anche tre giovani gitani: un letterato, una sarta e un borsaiolo.
Ma allora quel loro gesto cosa significava? Era una fuga oppure un gesto libertario e scanzonato? Forse entrambe le cose. Era un atto di estremo eroismo e di inutile ribellione? Sì, forse sì, anche.
Ma tutto questo è ciò che ne trarrebbe una persona normale oppure uno storico delle tradizioni popolari.
Se invece fosse ancora in circolazione un vero Zingaro, un cuore zingaro, beh, in quel caso egli alzerebbe gli occhi all'orizzonte e tra quella massa informe di zombi vincitori ne individuerebbe uno, uno solo, a cui tre prodi dell'Ave Maria Nera hanno lasciato un ricordino nel loro stile. Il tizio verdastro ha infatti un pezzo di pelle nuova, cucito al culo: un portafogli logoro (dunque intonato al nuovo possessore) con all'interno una banconota falsa, qualche spicciolo e un biglietto, che dice:
«Un mondo alla rovescia non può trovarci impreparati. Piantatevelo in testa. Noi siamo i veggenti. Quelli che sanno... e si adattano, opponendosi. Saremo sempre l'altra faccia della medaglia. I mutanti in negativo. I Signor-Contrario. Perciò se siete voi quelli coperti di stracci, non possiamo di certo scucirvi il portafogli. No, noi agiamo di conseguenza. Regaliamo giochi di prestigio. Ci respingete, ma noi siamo l'attrazione. Ci chiamate ladri, ma il circo, i freaks, "Le tre carte" ve li abbiamo regalati noi. Siamo le fronde che muovendosi generano vento ma fanno credere a tutti che è il vento a muoverle. Vivremo così, in anticipo, incompresi. E non ci cambierete. Mai. Non ci sconfiggerete mai. Perchè voi siete la maggioranza, compatta. Mentre noi... noi siamo l'Imprevisto, la Variazione, il Capogiro, il Solitario giocato con carte truccate. Cari Non-Morti, noi dunque siamo gli Altri. Voi fregatevene pure delle nostre tende, delle nostre vite, dei balli a piedi nudi, del fascino della vita aperta... perchè intanto a fregarvi ci pensiamo noi. (firmato) Umano Gitano... "ché se la vita non ti regala niente, significa che vuole essere taccheggiata".


Eh sì, la scena del crepuscolo zombi (resa leggendaria dalla morte dei loro oppositori, romantica sì ma pur sempre morte morte, non morte provvisoria, cioè da non-morti) venne riproposta più volte sulla Prima Rete. Vista e rivista. E il mondo si adeguò al modello proposto. La popolazione in massa accettò il contagio.
E tutto si mescolò.
Molti credevano che gli zombi non si attaccassero tra di loro. Per un presunto patto viscerale. In realtà era un atteggiamento di comodo e quando divennero la stragrande maggioranza la fame si ritorse contro gli altri affamati.
Le strade brulicarono di assassini al rallenty. I campi divennero sede di cannibalismo civile.
E fu poltiglia.
Neanche i primi organizzatori, i Coloni, vennero risparmiati. Ancora una volta, ahimè, uguaglianza e terrore.
A un certo punto rimaneva ancora in piedi un'unica isola non imbrattata, al centro del mondo: lo Studio 1.
Ma anche quegli argini telestatali erano destinati a cedere. L'Italia che dopo sei secoli torna ai vertici del mondo, trashendendosi.
Nell'ultima puntata infatti Sposini non si limitò solo a incitare al Cadaverismo ma, per attirare e convincere i superstiti razionali e i passionali cronici (quindi le unità ancora categorizzabili e "vigili"), portò in studio due esche di qualità.
Gli umani, non potendo non guardare quell'ultimo spettacolo (anche solo per senso critico o entusiasmo da ultima puntata), si sarebbero convinti.
Così fu (organizzato).
Nell'emisfero sinistro dello studio, sotto una campana di vetro in stile "Lascia o raddoppia?" c'era Morgan, vivo e intento a dare spiegazioni puntigliose sulle ragioni sociali e artistiche per non essere zombizzati. La sua raucedine scoordinata e i suoi castelli di look e di giochi di parole arzigogolati furono un ottimo incentivo verso la Non-Morte. Cervelli circondati da decomposizione come possono accettare canzoni sull'art déco? Tra l'avanguardia e la demenza scelsero la seconda (che in realtà non era poi così distinta dalla prima). Il morbo "rallentaneuroni" costava meno di droghe sintetiche. Entrarono tutti a far parte del Popolo Violaceo. [Per inciso, non si seppe mai se Morgan divenne zombi -per opporsi alle sue opposizioni- oppure visse da non-zombi tra gli zombi travestito da zombi come Bill Murray in Zombieland, perchè da allora nessuno si accorse più di lui.]
Rimaneva da convincere solo gli irriducibili dell'altro Popolo. Quello della Libertà. Gli imitatori del Cavaliere, senza testa, dopo l'epidemia. I passionali. A questa funzione adempiva l'altro emisfero dello studio: quello destro, appunto. Lì era legata a una colonna la dea della tv. Nuda e vivissima. Biondona generosa in bella mostra. Con un branco di bestie umanoidi guinzagliate attorno a lei, distanti tanto da non poterla divorare ma tanto poco da arrivare con la punta della lingua viscida fino all'estremità di quei seni enormi. Solo lei infatti, la giunonica e sempreverde Mara Venier, poteva garantire il pienone. Tutti vollero far parte del copione. L'intero sovramondo satellitare, televisivo e telematico venne così colonizzato. [N.B.: zombizza neuroni e coglioni e il resto verrà di conseguenza.] Infatti Mara si concesse proprio a tutti, a turno. Morbida, democratica, da allora internazionalpopolare. Ultima icona immortale. Diva. Immortale, prima che le catene cedessero nello studio. E fuori. E ogni forma di vita aderisse al dharma sdentato. E l'identità diventasse appunto "senzadentità".
Venne il giorno. E tutti furono zombi.
La Terra tremò. Bruciò. Ma soprattutto barcollò sotto quell'avanzamento sciancato.
Eppure continuò a girare...: cicli.
Compatta eppure diversa, o meglio raccolta e differenziata...: ricicli.
Ecco. Ecco realizzato il sogno ecologista: essere parte integrante della natura.
Sorte macabra che si trasforma in rinascita circolante grazie a imprevisti e imprecisioni.
L'inesattezza principale, come detto, era quella di sostenere che i morti viventi risparmiassero i loro simili. Niente di più falso. E dunque la più grande fortuna, inaspettata, fu che, in mancanza di fazioni avverse, le carcasse semivive si sfamarono a vicenda.
In questo modo la decomposizione continua, seguita da incessanti alzate di pugni ossuti che spuntavano nuovamente dal sottosuolo e poco dopo venivano risotterrati (e così via), rese la terra humus planetario. E noi rinascemmo dal concime.
Pian piano, tra faide postanimalesche e aiuti a rimettersi in piedi e rivedere la luce al di fuori dei tumuli, tornò la normalità. Fummo come nuovi.
Il globo fu salvo. Noi pure. Sano e sacrosanto karma rigenerante.
Le previsioni della frangia ottimista dei guru verdi si avverarono. Il futuro profumò di religio banale ma efficace. Salvezza che sorge da un passato strumentalizzato dall'uso di libri sacri e trasmissioni televisive vaticane. La nuova escatologia si concretizzò, riaffermando ciò che in fondo in fondo già ci era stato detto da culti antichi:
all'apocalisse segue naturalmente la resurrezione della carne.
Fu davvero New Age.

domenica 19 settembre 2010

The Cove

What's behind that playbill
behind those vaudeville lights
shining intermittently on the brick wall
in a September night?

What's behind your eyes
behind that Vodka veil
letting transpire in places
solitude, discharge or,
scaring me,
suicide?

If the enlightened belfry clock strokes
break your explanations
if your face is warm
but your bottle green jacket
is watertightlipped
if there are no road lines
and you keep looking ahead
always ahead,
tell me:
what's inside of you?

The nothing can't be described.
And when you believe that poetic deaths intrigue you,
well, maybe you are already a step too far in there,
where even speleologists piss in their pants
there where the world was born and you laugh in the cradle
where bears and dolphins orbit above your young thoughts
telling you'll never be ballerina
never my wife nor rhymer,
always only an odd firefly.

Your on/off body shows the way
between cosy caverns and narrow docks
aquatic carnages and Bateaux Mouches.

But you
alone
deep down in your pupils
restrict yourself to burning
to burning dimly
in that lovely darkness.

venerdì 17 settembre 2010

AFREAKA

Pandraw mostrò il tesserino dei servizi segreti, che -legalmente modificato- aveva una valenza internazionale, ed entrò nella zona delimitata.
L'auto fucsia lo precedeva. Doveva restarle addosso.
Quel tipo nella macchina non era dei più pericolosi, ma se lo avevano spedito in Sudafrica (del Sud) per seguire quella pista un motivo doveva pur esserci. Ma lui non sapeva quale.
Scordatevi quegli agenti superintuitivi e saputelli. Sono leggende. Mitologia. Come le spie in gessato, con una sigaretta per dito e una biondona per braccio: saranno pur esistite, per carità, ma in un lontano e fumoso (appunto) passato. Non qui. Né tantomeno laggiù.
Pandraw non ne sapeva niente. Di niente. Nessun dossier. Zero.
Gli arrivava solo una comunicazione dai superiori, di media ogni tre ore. E significava quasi sempre prendere l'auto, pedinare e comunicare gli spostamenti.
Non aveva con sè nessun vestito elegante; né bionde a coccolarlo. Niente armi nè seduzione. Né chiaramente armi di seduzione. Solo un giubbotto antiproiettile -insopportabile al caldo- indossato sotto abiti da turista da safari a cui hanno rubato il portafogli fin dall'aeroporto.
Era più innocuo dei grassotteli di mezza età che giravano per strada con vesti arcobaleno e sorrisi appiccicosi per promuovere «la Coppa del mondo del riscatto».
Aveva "addirittura" un permesso per prendere una pistola al negozio d'armi più vicino in caso di necessità (ma la densità di gun stores in Sudafrica non è certo da New Mexico o roba del genere). Che gentilezza.
Si sentiva come un giocatore di football (americano) che si ritrova a dover giocare a lacrosse contro bambini e pensionati di domenica mattina al parco. E' un uomo finito. "Le motivazioni sono tutto", piagnucolerà a fine partita, come scusa per difendersi dalle gentili pacche sulla spalla che gli riserveranno i piccoli avversari. O farà qualche cazzata.
Ma tornando al kit da lavoro, gli appartenevano, infine, 37 anni portati male e un attaccamento al suo Paese di poco superiore alla media (per entrare nei Servizi è necessario, anche se di poco). Da quando era lì, davvero, davvero di poco.
Entrava così quella sera nell'area dello stadio dell'inaugurazione dei Mondiali di calcio e, con tutte quelle vuvuzelas che gli starnazzavano ai lati dei finestrini, pensò che era lì da due mesi ma già ne aveva fin sopra i capelli di quella nazione. Ora tutti così briosi e superficiali. Redenti. Lo depistavano.
Non poteva lavorare come si deve, svolgere la sua missione. Se quello era il Purgatorio, le sue chiappe avrebbero fatto bene a imparare l'Ave Maria (finanche in lingua afrikaans) se non volevano finire arrostite. L'Inferno era alle porte. Non è tanto il caldo che lo annuncia, quanto i colori. Riflettete. Se il Paradiso è la luce più luminosa che ci sia, che annulla ogni differenza e mostra la verità, il suo opposto non è il buio della fossa (no, quello è uno scenario troppo illogico e demodè, medievistico), ma il ritorno di tutti i colori in massa. Il caleidoscaos. E cosa c'è di più colorato delle vesti delle anziane del Sudafrica o dei loro strumenti o di quella dannata bandiera pacchiana usata pure come pannolino per i neonati? Per un tutore della legge nato negli Stati Uniti d'America subito dopo l'era delle contestazioni, che non ha mai visto un vero hippie in patria ma ne conserva l'archetipo (e il timore) dalle profondità dei pregiudizi uterini, un Sudafricano è la Bestia Moderna. Docile, raggiante, ma che ti annulla quando vuole. Che lo vogliate o no, il Diavolo è frikkettone. E all'inferno -ebbene sì- non prevalgono le fiamme, ma il fumo... di migliaia e migliaia di cannoni alla marija (povera Vergine Maria-juana).
Si scrollò di dosso la visione dell'aldilà che lo terrorizzava. Miraggi da inazione. Doveva darsi una svegliata.
Entrò nello stadio seguendo a distanza il tizio e la sua scorta.
Il prato si stava riempiendo di famiglie, gruppetti di ragazzine con corna verdi luminescenti da bancarella o giovanotti con cappelli multicolor e bande di bambini scalzi entrati di soppiatto o lasciati liberi di correre verso i maxischermi luminosi.
Vedendo tutta quella confusione, Pandraw non provò più terrore: l'ansia estatica che l'aveva avvolto pochi minuti prima era confluita dal cuore allo stomaco. E in quel momento il paladino federale desiderò solamente mangiare un cheeseburger multistrato: quella sì che è roba da calca. Terrena, americana. Purtroppo non c'erano (per lo meno nello stadio) locali dal nome invitante "Johannecheesburg".
Ma guardandosi intorno vide alla destra del palco un chioschetto fumante.
Man mano che si avvicinava, le sue occhiate verso la scorta del controllato internazionale si facevano sempre più rare. Nessuno lo avrebbe chiamato. Quel tipo e i suoi scagnozzi erano inoffensivi. Allora inspirò quegli odori inquietanti e speziati e, al suo turno, proruppe, non più timido: "Tre sosaties e tre vetkoek! Per cortesia e in fretta!".
Si mise a mangiare al bancone e iniziò a preferirli alla patriottica carne macinata. Che cosa gli stava accadendo? Era la strada verso la perdizione. O forse i suoni in sottofondo o la luce improvvisa dei fari laser che lo colpiva si armonizzavano bene con i sapori piccanti, ora spalmandoli ora acutizzandoli. In ogni caso quell'altalena da sensi di sensale lo cullava e gli faceva provare una sensazione di pace, risultando alquanto soporifera.
Pandraw rimase per dieci -o forse quindici- minuti con quell'espressione da genuino jamaicano sul volto, quando fu scosso da un trillo improvviso.
Si voltò di scatto e col gomito urtò la ricetrasmittente poggiata sulla mensola. L'aggeggio finì a terra. La cosa peggiore non fu la sua mossa goffa, ma che con la coda dell'occhio vide che durante la caduta lampeggiava il bottone rosso, quello delle emergenze, mai attivo fino a quel momento, e che ora era di nuovo spento: quel dannato trasmettitore spacciato per indistruttibile era davvero fuori uso. Cristo, quella luce non lampeggiava più. Una spia senza spia, assurdo! Proprio ora che gli stavano comunicando direttive urgenti, dopo giorni e giorni di calma piatta interrotta spesso solo da sbalzi termici.
Guardò il gruppo del sospetto e vide che parlottavano. Il cibo delizioso era finito.
Doveva assolutamente tornare a casa a prendere la ricetrasmittente di riserva per capire gli ordini. Ore di fila.
Oppure immaginare il da farsi e procurarsi un revolver. E sparare a quel ladro di polli. E farla finita con la monotonia di una missione dimessa.
Iniziativa da stress. Decise di ammazzarlo.
Ma come? Aveva quasi imparato a rilassarsi in quel buco d'afa.
Ma il dovere è il dovere. Perciò doveva improvvisarsi intelligente, da buona pedina dell'intelligence.
Aveva soldi con sè. Dalle sue parti li chiamano passepartout anche se non conoscono il francese.
Decise di corrompere una delle guardie all'ingresso per farsi dare una pistola.
Si allontanò. E incontrò subito due gorilla della security. Vestiti rosa confetto e giallo granita. Tanto per cambiare.
-Colleghi, sono un agente. Vorrei una pistola- e intanto mostrava loro con una mano il tesserino, con l'altra una mazzetta alta quattro dita. Non aveva tempo da perdere.
-Come capo? Non scherzare. Questa è nazione divenuta nuova. Niente corruzione. Per noi due-
-Ah, già, siete pur sempre due, anche se l'arma me la consegnerà uno solo. Mi pare giusto.- Raddoppiò l'offerta.
I due si guardarono in faccia, sorrisero platealmente.
Poi uno si passò la mano sui capelli cespugliosi, porse il calcio della pistola e prese la grana. Affare fatto.
Gli occhi di Pandraw si illuminarono. E non era né la soddisfazione per l'affare, né un rigurgito del cibo piccante. Finalmente dopo mesi poteva sforacchiare un bastardo di nemico. Istinto da bounty killer che aggredisce routine da centralinista.
Fece sedici passi in avanti e puntò verso il tizio. Tolse con il pollice la sicura. L'indice fa sempre il suo dovere a contatto con il grilletto.
A meno che non ti puntano nello stesso istante una pistola alla tempia.
-Non si fa così, fratello. Non ci hai fatto nemmeno spiegare. La calma è sacrosanta.-
Lo sbirro in rosa della sicurezza gli poteva far saltare la testa da un momento all'altro.
-Non ho detto che tu non può saldare i conti con quel tizio- proseguì. -Anche qui, in questo stadio. In mezzo a donne e bambini in festa. Abbiamo fatto un patto. E' affar tuo. Ma non ora. Ora è momento d'incanto e d'ascolto. Sta per salire sul palco il figlio del grande Ali Farka Touré. Ora suona il Mali, non il male-.
Una scritta azzurra lampeggiò nello schermo alle spalle di un uomo paffuto in tunica elegante e basco rosso e della sua band.
Vieux Farka Touré si poteva leggere.
E poi più in basso la parola Fafa era attorniata da stelline di pixel scintillanti. La riproduzione digitale tentava di rendere il suo valore magico. Empatia, solidarietà, legame: questo significa in maliano. Tutti in Africa lo sanno. Merito degli incantesimi, del rispetto, della musica.
Pandraw abbassò l'arma, imitato dalla Pantera Rosa.
Un assolo di chitarra paralizzante fu seguito da una voce limpida eppur cavernosa. Ispiegabile.
Un'orchestra marziana di rockers da bazaar e percussionisti di ossa preistoriche d'avanguardia prese per mano lo stadio.
Strani esseri per metà animali per metà marionette ballavano in ogni direzione. Ola di breakdance. Luminescenze e tric trac. Baci e sguardi all'orizzonte, dove il passato degli ominidi si incontra col futuro della Terza Età, degli Incontri del Terzo Tipo, del Terzo Mondo.
In mezzo a quelle facce attonite ma espressive Pandraw capì che non avrebbe più trovato il tizio che braccava.
Né più sarebbe tornato in patria.
Perchè quel posto era l'ombelico del mondo.
E quella gente non ostentava superficialità, ma tanto ricercata spensieratezza.
Non era il Paradiso né sarebbe stato l'Inferno.
E' l'Africa, fratello.
Sempre un po' più a Sud dei tuoi pensieri.



giovedì 16 settembre 2010

Little Proudhon & Baby Confiture






















Quando una volta lessi che l'arte moderna
parla dei sentimenti del singolo
ancora non ti conoscevo davvero
Non avevo assaporato i tuoi disegni paffuti
nè tradotto colonne e colonne
di una sola tua pagina
la tua epopea privata
gli amori i dolori gli oggetti d'infanzia
i viaggi di carta le nascite

Beh è giunta l'ora
che io rispetti la tua vita
perchè ogni tana è rifugio e frutto
Traccia pure
scrivi strappa scrivi
Le tue memorie di Plasmon
sono così dolci e sincere

Eppure non riesco proprio a capire
come mai nessuno
guardandoti nelle lentiggini e nei tuoi nei
ti abbia detto con calma
'Piccola
La proprietà è un furto
Chiusa nella tua casa delle bambole
stai dimenticando
gli odori della notte
gli schiaffi del destino
i futuri nativi
le piante di caffè
Per una buona volta
ferma i ricordi
e svolazza sul retro di una moto
dì addio ad apicoltura e fate modaiole
reagisci
mia cara'

Tu mi ignori
e ti lasci insultare in silenzio

Ma mi stupisci ogni volta che
in vestaglia e maturità
porti bacche e droghe
facendoci sentire selvaggiamente a casa

Scolari strabici o artisti sospesi?
Capisco che mi capisci
tra letture di edera
e rivoluzioni di vimini.

giovedì 6 maggio 2010

Il senso dei sensi

Una stretta di mano è sempre
abbinata a uno sguardo
Il sincronismo è tutto
Dice chi sei
e cosa vuoi

Mio nonno voleva tutti attorno a sè
per il gran saluto
perchè se quando torni dalla guerra
non c'è nessuno ad aspettarti
alla stazione
un modo per rifarti devi escogitarlo
alla nuova partenza
65 anni dopo

Attesa per un attimo
Piano perfetto
Tutte le persone care
ne hanno accarezzato
la fronte magra
tra gli occhi velati
e intenti a guardare avanti
Ma dove?

Poi il turno del nipote
Mi sono avvicinato a quel babbo, figlio, fratello
che per anni avevo atteso che mi rimproverasse
o sentito russare al piano di sopra
o visto soffrire, sincero
Gli ho preso la mano
quella mano piena di
macchie di vecchiaia e delicatezza
che cercava di colpire con il telecomando
scambiandole per mosche
quella mano che mi ha
guidato, spronato, rincorso,
urlato ma mai picchiato
quella mano che ora stringevo
con forza e mi diceva addio

Anche un lento lasciare può essere un lascito
Significa sentir scorrere l'esperienza
e permanere l'insegnamento
passare il testimone
eccola l'importanza di quella mano

E gli occhi dove guardavano?
Non lo so con esattezza
Ma non il vuoto
non in quel momento
Forse altri occhi
quelli stabiliti
"Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
"

Si vive della creazione
di quello sguardo personale
che insieme a mani gentili
rimane nostro.

martedì 30 marzo 2010

Pazienza, Zanna è tornato!

Nome: Massimo
Cognome: Zanardi
Nomignolo: 'Zanna'
Età: 24
Segni particolari: spigolosità e acutezza

















-"Eccheccristo, fa un freddo della madonna!!" Sergio Petrilli (detto 'Pietra') come al solito non c'ha una lira. Per farsi forza, ostenta pessime attestazioni di nichilismo.


-"Ehi, mammina, mi compreresti mica un cashmere nuovo?" Roberto Colasanti (o 'Colas'), ancora sdraiato accanto a una delle zitellacce che lo pagano in cambio di una botta e via, le ha appena spillato un maglioncino ottimista.


-"Inverno bestia." Zanardi e la sua concisa vaghezza. Fa un ultimo lungo tiro di spino, stringe il bavero grigio e avanza. Non si capiscono mai le sue frasi improvvise. Eppure sembra che in qualche modo incidano. Come se pungano in ogni caso qualcuno. Da qualche parte nel mondo. Non ha perso colpi. Con le folate che lo sferzano ai lati, affinandolo e affilandolo, stavolta è più che mai il lupo.

Appena contattato Pietra, gli dice che sta tornando in città. Gli comunica di voler sgranocchiare qualcosa al suo arrivo. In cambio una fiala pazzesca. Quando il piccolo Petrilli prova a frignare qualcosa, il telefono già bippa di nuovo. Se non troverà almeno una piada, come pegno fumeranno entrambi -invece della bomba- le ceneri del porcellino d'India di Pietra. Il nanetto ci tiene tantissimo.
Din-Drin! "Porca boiazza, Zanna, ho provato a dirtelo che non ho niente in frigo. Non lavoro da un pezzo. Ma tu non capisci. Ho cercato di rivendere addirittura il Vespino per avere un po' di contante, ma nessuno se lo piglia. Te lo volevo anticipare. Ma tu niente. Dai, su, sei cresciuto, sii clemente, eh, che dici, chiediamo a qualche vicino, he-he, ah, lo sapevo che avresti compreso, amicone" (da notare il linguaggio di Sergino: proprio maturato... da sbarbo a geppo!).
Tra i capelli del ciuffo gli occhi verde-marcio di Zanardi stanno già pulsando verso la ciotolina sigillata contenente le ceneri oriental-suine.
Le palpebre terrorizzate di Pietra picchiano veloci al ritmo del secondo Din-Drin! E' Colas. "Uè, fratelli. Ho portato un pranzetto da leccarsi i baffi. Gli avanzi della cenetta regale con la vecchia". Pietra, quasi in lacrime, abbraccia il suo idolo salvatore. Zanardi nel frattempo ha già una coscia di pollo tra le fauci. E Pietra:" Figooo! Dopo una settimana di fila per barboni, posso finalmente godermi un pranzetto decente. Auuuu!".
Zanna ha la testa calata sul vassoio.
Colasanti però con il solito garbo invita Sergino a comprare prima le cartine perchè il tabacchi chiuderà a momenti. Poi mangerà a volontà. Pietra, felice come una Pasqua, scende dal tabaccaio sotto casa.
Ma al suo ritorno, dopo tre minuti esatti, non trova nemmeno una briciola di quel ben di Dio. Zanna ha convinto Colas a cenare una seconda volta. Lo hanno fregato, come al solito. Ma Cristo: in 3 minuti, 4 vassoi! No, non è umanamente possibile. Guarda se hanno nascosto ravioli nella credenza o nel cesso, se hanno buttato agnello dalla finestra o nella tromba delle scale. Si ricorda che i suoi amici non sono umani. Sono bestie.
Vedendolo rientrare mogio mogio, Roberto si scusa con una pacca sulla spalla e dice: "Dai, non prendertela per uno scherzetto. La prossima paga della Chiavecchia la spedisco direttamente a te".
Zanna aggiunge: "Su, su, pensa che a stomaco vuoto ti piglia anche meglio: pronto con le cartine? Ci facciamo."
Solo queste ultime due parole strappano un sorriso al mitico Petrilli.
Dopo la svampa, penserà di certo: "Sentivo la mancanza degli amici del liceo. Colas forse mi darà addirittura un po' di soldi. Ma Zanna è Zanna. Come sempre il migliore. Ha mantenuto la promessa. Questa è una fumata coi fiocchi. La migliore, hi-hi, giuro, davvero, la migliore."
Per un pezzo non saprà che Massimo Zanardi detto Zanna questa sera stessa si scoperà la sua Mirella, la sua "Pietrina focaia" (come il corto Petrilli la chiama con gli occhi a cuoricino). E che Zanna non collasserà strafatto come lui e Colas perchè preferirà tirare solo un po' di quella roba. Unico a conoscerne la provenienza:...
...una ciotolina de-sigillata contenente comunque resti.
Di un pasto tra amici.
Non più di un dolce roditore, ormai aspirato.

lunedì 22 febbraio 2010

Dormi-Veglia

"E la notte ti preserva dalla mia intimità"

Sarà una delle più belle dormite della mia vita
Sprofondare nel letto
chiudendo pian piano gli occhi all'ingiù
E poi sognare di cercarti
guardando intorno lentamente nella semioscurità
Credere di sentirti seduta sul davanzale interno della finestra
bianca e socchiusa
Il tuo profilo con la testa tra le mani
che ti renderà più matura
Un alone debole ti illuminerà da fuori
Mi guarderai ferma ancora un attimo
perchè saprai che sarà ora di andare
come sempre
anche se il mio respiro sul tuo cuscino ti fa sentire a casa
Seguirai un percorso tra i collage
le videocassette e la scatola con i gioielli arabeggianti
verso quell'odore particolare
come di zuccheri bruciati
Le tue calze bicolori accarezzeranno il parquet
e la porta cigolerà
Ti volterai e guardandomi penserai
a che espressione potrebbero avere i nostri bambini
Penserai che potresti abbracciarmi
e dividere con me le lenzuola fino alle spalle
e organizzare con me viaggi esotici in India
a Belgrado o in fumerie d'oppio dietro l'angolo
Sarai per la prima volta consapevole che
mi vuoi più che bene
e che non ti lascerò mai andare senza un tentativo di matrimonio
e tante urla
Così
mandandomi un bacio
chiuderai la porta piano e nell'ombra
E io non capirò
se sarai rimasta dentro la nostra stanza.


Marlene Kuntz NOTTE

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