domenica 19 luglio 2009

Prosecuzione

Sputò il terriccio con indolenza. Il sapore era molto simile a quello della terra -l'aveva già assaggiato un paio di volte in vita sua e non era di certo piacevole. Per di più ora non poteva sciacquarsi subito mucose e narici. Quella non era la Terra, ricordò.
Gli tornò alla mente, sfocato, il lungo volo, il panorama oscuro e nebuloso, poi la nebbia vera e propria. Era positiva, la nebbia. Voleva dire presenza di aria e acqua. Le piantine in capsula spedite lì anni prima dalla Commissione terrestre dovevano aver svolto un egregio lavoro: respirava a fatica, ma senza bolla artificiale. Il casco infatti stava lì, a una decina di metri, col visore principale spaccato a metà. Era di certo atterrato di zucca, dopo che il colibrì meccanico lo aveva sganciato. Dannato androide volatile! Riprodotto alla perfezione: dal battito d'ali velocissimo e preciso fino a quella maledetta pavida voglia di tagliare la corda. L'aveva mollato ad alta quota. Per paura. O anche l'atterraggio di fortuna faceva parte del programma?
Tutto sommato la tuta di superchewinggum e il casco soffiato avevano ammortizzato bene l'impatto. Dolore a spalla e ginocchio, emicrania, ma il resto del micro-check-up era ok. Si guardò intorno. Terra verdastra e un'altura ramata in lontananza. Prese i resti del casco e si incamminò pesantemente. Aveva superato solo la prima prova: lo sbarco. Non era di sicuro un colono modello ed era per questo che lo avevano scelto. Una cavia. Sentimentale. Perciò (e per il casino che aveva creato in madre-pianeta) avevano spedito proprio lui sul'astro da testare. Se resistono i più fragili, poi per gli altri è una passeggiata.
Il discorso dei capoccioni non faceva una grinza, ma non doveva pensarci, pensò, arrivando sulla montagnola. Guardò al di là, in basso.
Una distesa deserta con al centro un ridicolo boschetto di alberelli, arbusti e tappeto d'alghe. Non era lontanissimo, ma almeno mezza giornata di marcia ci voleva. E lui era ancora intontito e troppo stanco per arrivarci nel freddo notturno. Doveva riposare. Si tolse la tuta, mettendo da parte il suo borsello di effetti personali. Strofinò forte due pezzi di visore scheggiati e dopo poco riuscì a creare un piccolo fuoco di gomma argentea. Si addormentò polveroso e senza sogni.
Svegliandosi di soprassalto, afferrò l'astuccio, gettò a terra la piccola pila di libri elettrici, le sigarette all'ossigeno, la cartuccia antimicotica e finalmente la trovò.
La foto delle sue donne che ora lo guardavano ridendo.
La piccola, in braccio alla mamma, aveva la bocca aperta proprio come quando chiamava il suo papà: pa-po.
Ismolda, invece, la fissava sorridendo, con il sopracciglio alto e gli occhioni semichiusi che lasciavano trasparire una scintilla di tristezza. Lei sapeva che e perchè lo avevano scelto. E, come sempre, era poco brava a spronarlo nell'accettare le avversità o nel rimediare ai danni. Era insopportabile ma sincera: anche da quella distanza provava a rendergli ancora più difficile la convivenza con questa situazione -se solo fosse stato possibile. Le sue ultime parole, impassibili, erano state: "Se non torni entro due mesi vuol dire che sei morto. E se muori sai bene cosa faremo: ci lasceremo morire anche noi. Ti è chiaro questo? Visto in che situazione ti sei cacciato?". Tutta d'un pezzo se l'era scelta. In apparenza. La realtà era diversa. E lui lo sapeva: l'aria di rimprovero non era veritiera. Le guance di Ismolda erano troppo rosee; era agitata, triste e stava per commuoversi. Allora quel giorno e in quel preciso istante le aveva voltato le spalle per evitare il suo labbro tremolante di pianto ed era uscito. Sapeva che per sempre. Non ce l'avrebbe fatta a tornare. Questa non era una di quelle cacce al tesoro intergalattiche di cui parlava l'olovisione e in cui, dopo aver punzonato alcuni pianeti, ti lasciano una navicella nascosta in un cratere con cui tornare a casa. Lui aveva perso al Big Bad Jack. Così era diventato una guida da avanscoperta. Un pioniere forzato. Una pedina di un gioco più grande di lui, ancor più di quello in cui aveva perso la libertà. E d'azzardo qui c'era solo lo svolgimento, perchè il risultato già lo conoscevano tutti. Lui per primo.
Ciononostante aveva incominciato ad avanzare, come un sonnambulo senza letto, verso la pineta, sotto il calore di una stella abbastanza alta. Si mise a fischiettare un motivetto di un cartello animato -che incrociava spesso vicino al suo ufficio- per rimuovere il pensiero di Rory e Ismolda in lacrime. "Non pensare allo spazio-ti riduce come uno straccio, cerca un canovaccio-per goderti un massaggio... fìlu-filù-filà". Una delle solite canzoncine monocordi per incentivare le carriere letterarie. Non funzionavano. Ma erano molto orecchiabili rispetto alle percussioni ultrasottili di ultima generazione. Comunque, pensando a quei poveracci dei letterati incalliti, trovò la forza di andare avanti un altro po'. Doveva per lo meno perlustrare qualche oasi prima di cedere, per non diventare ancora di più lo zimbello del suo quartiere, mettendo in ulteriore difficoltà le sue care già a pezzi. Doveva sforzarsi o in via "Divolta750" gli avrebbero dedicato una statua derisoria di salpepato, pratica storicamente riservata solo alle massime figure della cultura, ormai, purtroppo per i burloni, estinte da parecchio. Questo mai: avrebbe dato l'anima pur di evitare simili osceni accostamenti al mondo delle lettere.
Si fece un lungo tiro di ossigeno dalla sigaretta e proseguì.
Sguardo strano, diffidente e spaesato, spalle curve, mandibola contratta.
Prima pineta. Pozze d'acqua stagnante con esserini semiliquidi all'interno. Prese un doppio antimicotico, bevve un sorso da terra e proseguì. Ricordava intanto il terzo compleanno di Rory. Le aveva regalato una fascia per capelli "Infra" rossa come quella della mamma e lei lo aveva ringraziato leggendogli una poesia disegnata, tipo rebus metrico, preparata insieme a "mammì" per la festa del papà, ormai prossima.
Secondo e terzo bosco quasi secchi. Poco ossigeno e tanta ansia. Voglia velata di casa, di crollare, di baciare guanciale e guance di Ismolda. Materasso di lattice e morbidi seni ad acqua. Ben tre tiri di sigaretta e andò avanti.
Vide il quarto spiazzo vegetale e gli sembrò subito strano. C'erano due file non omogenee di alberelli che conducevano a un precipizio. Si avvicinò con calma ma ad un tratto sentì un boato e si ritrasse. Un'onda enorme salì dalla gola fino in cielo per poi tornare maestosa sui suoi passi. L'aria spostata nella discesa trascinò l'esploratore nel vuoto del crepaccio e del suo futuro. Tentò di aprire le braccia in cerca di un appiglio e lo trovò in un piccolo cespuglio bianco. Si guardò intorno, aggrappato e spaurito: una miriade di ramoscelli sulla parete rocciosa, una vera e propria foresta calcarea verticale! Purtroppo per lui, però, quelli più in alto erano troppo distanti da raggiungere; cosicchè la risalita era impossibile. Inspirò più volte in quel polmone naturale ma non riusciva a calmarsi. L'acqua comunque -il vero e proprio mare che aveva scoperto-, a giudicare dall'aspetto florido delle piantine, non doveva arrivare fin lì più di una volta al giorno. Magra consolazione. Non restava che scendere. Riflettè qualche istante su dove portare i piedi, baciò la foto nella cintura, poi lentamente si mosse. E attivò il pulsante sulla tasca del borsello che inviava un segnale verso la Terra per circa mezz'ora. Indicava il suo percorso finale. Era il solo modo per terminare il viaggio con dignità. Mostrare che negli ultimi minuti della sua vita portava avanti il cammino di scoperta. Il loro cammino. Che non si era arreso. Che procedeva senza paura. O almeno questo avrebbe indicato la traiettoria del segnale: che avanzava verso l'ignoto. La loro missione. La sua pena, senza Rory e Ismolda.
Poi d'un tratto nella discesa pensò solo alle sue donne. Niente più riscatto. Solamente ricordi e amore. Anche dinanzi all'abisso, fine dell'avventura, sorgente di miti familiari. La risata dolce di Ismolda nella sua testa coprì il rumore del ramo che si spezzava. Si ritrovò in volo ma riuscì prontamente ad afferrare con la mano sinistra una sorta di fiore rampicante, leggero e fragile rispetto al carico da reggere. Biancoroseo come le gambette di Rory e le mani affusolate di sua mamma. Sotto il cosmonauta molti metri di parete spoglia. Schianto certo. Così si ritrovò per qualche istante in bilico sulla sua vita, su Rory, su Ismolda, sul gioco d'azzardo, le statue ridicole e i cartelloni pubblicitari, i circuiti della nuova Terra e le erbacce parietali di questo vecchio pianeta, il fosso e lo spazio, i suoi desideri e ancora Ismolda. Decise di non urlare, anche se sentiva una vocina che da dentro gli ripeteva provocatoria: "Sono al Life Over e di gettoni per continuare questo gioco del cazzo gli intelligentoni se ne sono sbattuti altamente di inventarne".
Chiuse un occhio, poi l'altro, in attesa dell'aria in faccia.
Sentì un sibilo, ma alle sue spalle.
Aprì l'occhio destro, fece una torsione. Il fiore stava cedendo. Vide un filamento giallo e vi si aggrappò appena in tempo. Con uno strattone e poi più lentamente una corda lo stava tirando su! Non ci credeva. Per venticinque minuti piantine in risalita.
Quando le sue sopracciglia superarono il bordo del crepaccio la vide: Ismolda con un motorino per funi al plasma lo aveva ripescato! E c'era anche Rory con lei! Si misero a piangere e lo abbracciarono e baciarono. Poi Ismolda spiegò: "Ci hanno prelevato e portato nella base. Ci hanno detto che la prima fase -quella della ricerca- è terminata con successo. Che hai trovato l'acqua. Hanno aggiunto però che stavi per morire e che se volevamo salvarti dovevamo collaborare alla fase 2, quella del popolamento. E' immorale, lo so lo so, ma necessaria, per noi. Per te. Per salvarti. Ho detto sì perchè ti amo. E' difficile ma anche Rory capirà perchè pure lei è pazza di te. Perciò dài, mettiamola a nanna e diamoci da fare. Ci toglieremo il pensiero e staremo meglio. Dobbiamo concepire un figlio maschio per darlo in sposa a Rory. Non abbiamo scelta o manderanno delle sonde ad ucciderci. Siamo obbligati. Ad andare avanti. A popolare. Per vivere. Per combattere la fine con un nuovo inizio".
Il padre guardò Rory addormentarsi e le accarezzò la fronte con calma e lacrime. Ora anche Ismolda piangeva e sussurrava soavi ninnananne.
Poi di colpo la donna lo baciò e la sua voce si fece bassa e sensuale mentre prese ad accarezzarlo. Il viso di lui divenne un mosaico di emozioni contrastanti. Era stanco e incredulo, ora speranzoso ora triste. Non sapeva davvero cosa fare.
Allora Ismolda -ma era davvero lei o una sua copia robotorganica di ultima generazione? venne da sospettare all'uomo- lo punzecchiò sulla vena del collo con un ago di luce.
Così in lui, tra tante sensazioni, tutto d'un tratto campeggiò un unico pensiero ululante:
"Sei bellissima, cara. Non vedo l'ora di incominciare".

Checkmate

A night thought
touches you
shifting your chequered bedspread
dangling from the pillow
your side fringe

on the cover
you wrote words
incomplete crossword
of experience and fictions
you search the kingfather
or the fable
you are surrounded by
wood bone carvings
will never see through you

I try to orient myself
on the checkerboard
but this skein of sleep and rhymes
makes me oscillating in love bellyache
then it tautens like a circus trapeze net
catapulting me in air pocket
above

to fall back on your breasts
the only relief of a flat world
no risk no dream
a pawn is a pawn
a queen is the queen
and the table is a scheme dependent on you
don't deny
you love eating black and white squares
I am a transparent walker-on
in your closed fantasies

so sleep sweetheart
don't think of me
pawns dream of queenies
whereas
punctually
the queen dreams of herself

checkmate.