venerdì 12 novembre 2010

Piccoli sposi della terra di certo non decrescono: la giusta (dis)soluzione.

Ossia perché lo splatter televisivo necessita di succo di pomodoro biologico e l’ambientalismo ha bisogno di carne anche non fresca.



Vero. Il pianeta chiamava. Chiedendo aiuto. Comprensione. Implorandoci.
Cuore svuotato del suo rossore. Pattumiera di chimici e frasi fatte. Rivoluzione. Verde e verdura. Sussistere e concimare. Ecosistema e santa frugalità.
Che bravi. I.L.L.U.S.I.
Non ci riuscimmo.
In quel modo, per lo meno.
Cosa puoi aspettarti da un mondo che somiglia sempre più a una grinzosa digrignante zucca di fine Ottobre?
Tutto iniziò così.
Che solo alcuni risposero davvero alla voce. Quelli di cui non ci si può fidare.
E quando un gruppo di pazzi addirittura pianifica, ci si può aspettare di tutto. Anche che il tutto riesca.
Volontà e sregolatezza estreme è come se paradossalmente plasmassero un cuneo, geometria dal gorgo. Alla base c’è furore, mentre al vertice risiede la soluzione. Finale.
Gli eruditi ci hanno sempre ricordato che quando un manipolo di pochi prende l’iniziativa per rivoltare lo Stato di cose esistente inevitabilmente fallisce. O degenera.
Loro si aggrapparono a questa seconda opzione.
Erano come giovani sanguisughe, così piene di vita.
I «Coloni di Antilicia» o gli «Anti Licia Colò-ni». Come dir si voglia, un collettivo di ignoti.
Senza nomi ma alla ricerca di qualcuno che desse loro visibilità.
Complotti e cronaca spicciola hanno meccanismi in comune. Sono idee-modellino.
C’era bisogno del baby-costruttore. L’apprendista burattinaio. Il brizzolato. L’uomo-voce. Sì, proprio Lamberto.
Si presentarono a Saxa Rubra in grande stile.
Si stava parlando di Sara quando il gas dalle condutture entrò nello studio. Inodore, incolore, come l’acqua o una notizia, fresche e trascinanti. «Siamo in onda...»
Pochi colpi di tosse. In diretta. Seguiti da un attacco improvviso e diffuso di forfora e manicure estrema. Rughe facevano da coreografia. Pustole comparvero sulle tempie e sui colli di esperti e vallette. Le gengive del conduttore si ritirarono fino al cuoio capelluto. La sua faccia come un Emoticons.
Trucchi del mestiere? No.
I Coloni avevano sintetizzato un filtro. Qualcosa tipo papavero marcio e steroidi scaduti. Affloscia i tessuti ma fa ballare le onde cerebrali. Insomma ammazza e rimette al mondo.
Le icone cambiano, il lavoro continua.
Erano Zombi.
...
?!?
...
Pas mal. Sarebbe bastato cambiare di un tantino il titolo della trasmissione... “La vita indiretta”. Sì.
E se le news da succose diventano bavose ben venga.
Non è questo che volevate, gente? Scoprire il nostro interno senza meditare e le nostre interiora senza morire.
Perciò il loro progetto funzionò. Ci mostrò di che pasta siamo fatti: linfa, grugniti ed emozioni sdentate.
Gli ascolti scoppiarono quando nella seconda puntata alcuni complici del com-plot iniettarono la sostanza anche nei cadaveri delle vittime dei delitti trattati. I teatri del crimine tornarono in vita. Non morti a inseguire cacciatori di scoop. Inquadrature affilate. E dunque corpi mozzati. Vero cannibalismo mediatico.
Uno scpetàcolo.
La macchia di muffa umana si allargò in ogni direzione.
E Lamberto dedicò ben tre speciali ai casi più eclatanti.
Non possiamo risparmiarveli.


1. Titolo: La concorrenza sleale può risultare letale.
Voce fuori campo: Sposini.
Riprese: Testa, Colasangue e Destomacis.

Così senza pagarci i diritti provarono a riversare la corrente di bile nel loro canale. In prima serata, per giunta.
Il paroliere Bonolis presentò a gran voce la sfilata. Il menestrello Laurenti intanto se la rideva. Acuto.
Prima fazione: «Aaanoressiche di giorno!» Poi “di sera”, “in discoteca” e “a letto”. E vennero descritti femori che si accavallavano con maestria, menti doppio zero e schiene da far invidia a uno stegosauro.
«Invece di là, in qualità di sfidanti, signore e signori, pubblico de noantri, microcefali e maggiorate della quinta rete, ecco a voi... glii Zooombiii!» Ad ogni ora e in qualsiasi posizione. Barcollanti, striscianti e slinguazzanti.
La sfida ai punti fu apertissima fino alle battute finali: i due schieramenti erano troppo simili. Dunque sfida all’ultimo sangue. Perciò la spuntarono i morti viventi.
Andò che il pubblico non sapeva proprio chi votare. Quei tizi con gli occhi strabuzzati lì sulle gratinate erano l’ultimo baluardo dell’Ancien Régime televisivo e modaiolo. Volevano tettone e culi tondi vecchio stampo. Non quell’ossuto flaccidume.
E quindi si incazzarono di brutto. Iniziarono a fischiare e sbraitare. La tensione saliva. Lanciarono binocoli e poltroncine. Guerriglia da studio anziché da stadio. Le scenografie tremarono. Teatro di scontri. I banchi dei concorrenti vennero divelti. Lotta in classe più che di classe. I tempi sono cambiati.
Il gruppo pelle e ossa indietreggiò terrorizzato. La fazione zombie invece avanzava lentamente costole a terra. Come un esercito di lumache. Chiaramente con annessa scia di bava.
Gli indignati li evitavano o schiacciavano. Impazziti. Come Goti che non trovano gote paffute, ma solo resti di vite e viveri. Rossi di rabbia e di orgoglio rurale e capeggiati da Odoreacre, sfasciavano ogni cosa al loro passaggio.
Davano la caccia al duo di imbroglioni, al «Mignolo e Prof della Capitale».
Questi si erano rifugiati sulla scala di Madre Natura, ora debitamente e meccanicamente sollevata da terra. Erano al sicuro lassù. Ma, guardando in basso occhi famelici, uno piagnucolava con la sua voce all’elio di rimpiangere i tempi del pianobar, mentre l’altro urlava citazioni del pupazzo One, che a Bim Bum Bam gli aveva insegnato l’arte della conduzione, con l’intenzione di placare coscienze infantili.
Non funzionò.
I cavernicoli si fermarono sotto il ponte sospeso e si riunirono in breve concilio di guerra.
Mascherando la loro ira si allontanarono.
Fu allora che il capobranco guardò verso l’alto, con aria di sfida, i due presentatori appollaiati come due gattini spauriti in cima a un albero (in tal caso proprio all’albero della vita, sede di Madre Natura che se l’era svignata da un pezzo).
Odoreacre ghignò. Mentre smorfie di dolore distorsero i visi dei suoi commilitoni.
Lo sguardo degli assediati scese lentamente verso il basso.
E videro... oh Cristo... videro in faccia la loro fine.
Spruzzi di sangue e tartaro infetti alle caviglie: i truzzi si erano lasciati mordere!
Avevano accettato la mutazione, il progresso stagnante, la via melmosa.
Li avrebbero presi per fame. In tutti i sensi.
Cari telespettatori, che dire a questo punto se non: «CiaoCiao Darwin”. L’evoluzione ha preso una nuova piega. O meglio una nuova... ruga».


2. Titolo: Le notizie al fresco sono sempre dell'ultim'ora.
Voce: Sposini.
Servizio: solo Destomacis (Testa è caduta e Colasangue è rimasto a secco).

Nessuno crederebe che un carcere di massima sicurezza del Ventunesimo Secolo possa essere fatto ancora di pietra. Umido e tetro come i castelli dei cari vecchi film della Hammer.
Ma per le interviste giornaliere agli assassini serviva un luogo simile. I filmati risultano così più naturali. Pallidi. Sinceri.
L'atmosfera è tutto. Ve lo ripeterò fino alla nausea.
Così l'avevano messa nel sotterraneo più buio. La fossa.
Aveva capelli più corti. Stesso profilo acuto e occhi tra lo spaesato e lo spiritato. Mento leggermente sollevato. Camice. Bianco. Come la bara di suo figlio: per gli italiani Samuele, per lei il mio Samuele.
Stava marcendo lì sul fondo tra squittii, dolori e pazzie, estreme. Non capirete mai. Mai.
Il raptus non dà spiegazioni di sorta. Tutt'al più di sorte. Rapisce. E basta.
Ma gli scienziati del penitenziario volevano studiarla. La chiamano ancora scienza. Sì, chiamano "conoscenza" quel gioco macabro. Analizzavano le reazioni della donna a stimoli inferti. E infetti. Suggeriti dalle loro idee cognitive e cervellotiche o dall'invidia di altri ospiti di quell'hotel dell'orrore oppure dal pubblico a casa, giovane e attentissimo. Imparziale. Scientifico.
E' facendo pena che sconti la pena. Colpisci, attrai, vivifica con la morte e vincerai. Semplici regole paradossali da showbiz apotropaico.
Per questo l'edificio gotico riecheggiava di lamenti di bimbo, generati da vecchi grammofoni celati in nicchie murate. E per questo le guardie andavano in giro con il ciucciotto. E di notte pannolini svolazzavano tra le grate come ectoplasmi dal puzzo davvero infernale. Altre volte alla donna i giornalisti comunicavano che era stato trovato il vero assassino o che il piccolo Samuele era vivo, da qualche parte, e poi morto, vegeto, di nuovo ucciso e così via, in una spirale malata e senza fine.
Fino a quella sera. La svolta. La rivolta. Le grand final.
A mezzanotte iniziò a percepirsi un fruscio quasi uniforme sui pavimenti levigati dallo sgocciolio. Forse piedi nudi. O carcasse? Vermi? Mostri?
No. Forse proprio solo piedi nudi. Per ora.
Avanzavano e avanzavano. E con l'avvicinarsi il suono attutito diventava più lento. Ondeggiante. Tremendo.
Due occhi sgranati comparvero all'interno della fessura della porta blindata numero 9. Accanto campeggiava una parola in caratteri metallici e vittoriani: FRANZONI.
"Stanno venendo da mee-e?", contorse il collo. "Per mee-e?", pensò la donna. Se può dirsi pensare un miagolio instabile che affluisce alla scatola cranica. Mosse gli occhi rossi in orizzontale. Più volte.
La sua attenzione si posò infine sull'angolo a sinistra. In fondo.
Piedi scalzi. Come previsto.
Ma tanti piedi scalzi. In fila. E bordi di vesti bianche che lambivano le caviglie. Le lampade pallide illuminavano solo quella zona in basso. Le gambe si misero in moto verso la sua stanza.
Sembravano particolari di una processione dantesca. Pezzi di pastorelli diretti alla Grotta. Presepe tetro. Cittadini che si riuniscono in assemblea anche se sanno già chi è il Capro.
«Ti vogliamo fare un dono, numero 9. Hai vinto.»
Non capiva. Ombre la guardavano e lei non capiva.
Entrarono e la accerchiarono. Sacerdoti e anonimato. Affiliati e redentori.
Una esile figura le porse un gomitolo di fasce.
Lei, lenta, lo accolse in grembo senza fissarlo.
Poi, delicatamente, scostò un lembo e abbassò lo sguardo.
Si riconobbero subito.
E si mossero all'unisono.
Un mostriciattolo descuamato scattò come una serpe voodoo, mentre una strega sommersa riapparve arcuata da incubi lontani e impronunciabili.
Fu un abbraccio complice, vendicativo, indimenticabile.


3. Titolo: Z contro Z (cioè Zombi contro Zingari), lotta in coda all'umanità.
Speaker: Sposini.
N.B.: E' un servizio audio per mettere in risalto la voce del conduttore (e perchè Destomacis è stato trasferito a Scorie e poi espulso).

L'accampamento di tende dai colori sbiaditi era forse l'ultimo baluardo contro l'orda carnivora.
Sapevano che sarebbero stati attaccati perchè "carta canta" (e quelle delle loro veggenti suonano pure la fisarmonica).
Ma, «per la Madonna nera», sono pur sempre zingari! E niente dà loro preoccupazione, se non ha pilastri o guadagno fisso.
Così continuarono a far pascolare i cavalli intorno alla roccaforte (senza rocca né tantomeno forza) e a versare liquore ai bambini perchè dovevano -a maggior ragione in quella situazione- bruciare le tappe (e anche i residui di cibo nello stomaco per risultare meno appetitosi).
Il tutto mentre le colline circostanti si riempivano di esseri affamati e sbrodoloni.
Il tutto con una calma sonnolenta e furba.
Mantre il mare umanoide si chiudeva intorno all'isolotto di pezza, la comunità si riunì in cerchio. Confabularono per qualche minuto. Risero. Poi si abbracciarono, tutti. Le donne si scambiarono bracciali, amuleti e anelli e arruffarono i capelli dei figli. I mariti sculacciarono con maestria i sederi delle loro mogli e delle altre donne. I bambini arrotolarono i baffi dei nonni e simularono di estrarre i loro anziani denti d'oro. La loro eredità.
Dopodiché gli abitanti si guardarono e annuirono, diventando di colpo seri. Serissimi. Impassibili. Proprio come una comunità che ne ha viste tante ed è perciò rilassata, ma quando il vento cambia sa bene quello che deve fare.
Tre giovani si staccarono dal gruppo per sfrecciare in una delle tende centrali. Erano Harlias il letterato, con i suoi occhialetti d'oro, Màrya la sarta, con cinturone munito di fascette e fili policromatici, toppe e aghi di ogni tipo, e Zoran «El guante de Dios», per aver sfilato il borsello a Maradona in persona durante un funerale ai quartieri ispano-napoletani.
Gli altri intanto, madri, padri, vecchi, figli e figliastri, sfoderavano tutto il loro potenziale difensivo: spranghe, vecchie colt e doppiette, piedi di porco, naturalmente fruste da circo e persino manette, leopardate.
Crearono due ali, a imbuto. Al vertice alto stavano gli anziani, imbottiti di rakia come spugne; nelle retrovie donne e bambini presidiavano lo spiazzo davanti alla tenda centrale, protetta alle spalle da roulotte e carretti parcheggiati.
Lo scontro incominciò senza esitazioni. Né grida di battaglia che possano dirsi tali, cioè uniformi, tribali, codificate.
Le urla maggiori infatti furono quelle dei primi della disposizione (i vecchi), che, mentre iniziavano ad essere sbranati, fracassavano fiaschetti in testa agli zombi e sgocciolavano il contenuto nelle lingue pestifere, sentenziando, moribondi, alla rinfusa: "B'vììt, bevete, uagliòni. Questa è medicina. Così può essere ca vi passa il coléééra."
I giovani adulti intanto staccavano arti a cinghiate e, tra una frustata e l'altra, si pettinavano i capelli impomatati e sbraitavano rauchi: "Aé. Aé. Venite, venite pur avant. Ma ordinati, asinoni, più ordinàààt!"
Le donne aizzavano dal fondo del canale zingaro e, per far sì che i bambini avessero il tempo di ricaricare le fionde, lanciavano oggetti vari -ed eventuali-: lampade rococò, ferri di cavallo e alle ultime battute anche sfere di cristallo. Destino che rotola.
La calca avanzava e divorava.
Le linee difensive erano cortissime, quando tre orgogli della Nazione Rom corsero fuori dal tendone, si infilarono nell'insenatura comunitaria e... si gettarono con tutte le forze verso il nemico... scomparendo tra corpi deformi.
Fu l'ultimo gesto riconoscibile del gruppo nomade.
Il resto sono resti. I superstiti vennero maciullati. Tutti. Tra i cadaveri infatti sarebbe stato possibile riconoscere anche tre giovani gitani: un letterato, una sarta e un borsaiolo.
Ma allora quel loro gesto cosa significava? Era una fuga oppure un gesto libertario e scanzonato? Forse entrambe le cose. Era un atto di estremo eroismo e di inutile ribellione? Sì, forse sì, anche.
Ma tutto questo è ciò che ne trarrebbe una persona normale oppure uno storico delle tradizioni popolari.
Se invece fosse ancora in circolazione un vero Zingaro, un cuore zingaro, beh, in quel caso egli alzerebbe gli occhi all'orizzonte e tra quella massa informe di zombi vincitori ne individuerebbe uno, uno solo, a cui tre prodi dell'Ave Maria Nera hanno lasciato un ricordino nel loro stile. Il tizio verdastro ha infatti un pezzo di pelle nuova, cucito al culo: un portafogli logoro (dunque intonato al nuovo possessore) con all'interno una banconota falsa, qualche spicciolo e un biglietto, che dice:
«Un mondo alla rovescia non può trovarci impreparati. Piantatevelo in testa. Noi siamo i veggenti. Quelli che sanno... e si adattano, opponendosi. Saremo sempre l'altra faccia della medaglia. I mutanti in negativo. I Signor-Contrario. Perciò se siete voi quelli coperti di stracci, non possiamo di certo scucirvi il portafogli. No, noi agiamo di conseguenza. Regaliamo giochi di prestigio. Ci respingete, ma noi siamo l'attrazione. Ci chiamate ladri, ma il circo, i freaks, "Le tre carte" ve li abbiamo regalati noi. Siamo le fronde che muovendosi generano vento ma fanno credere a tutti che è il vento a muoverle. Vivremo così, in anticipo, incompresi. E non ci cambierete. Mai. Non ci sconfiggerete mai. Perchè voi siete la maggioranza, compatta. Mentre noi... noi siamo l'Imprevisto, la Variazione, il Capogiro, il Solitario giocato con carte truccate. Cari Non-Morti, noi dunque siamo gli Altri. Voi fregatevene pure delle nostre tende, delle nostre vite, dei balli a piedi nudi, del fascino della vita aperta... perchè intanto a fregarvi ci pensiamo noi. (firmato) Umano Gitano... "ché se la vita non ti regala niente, significa che vuole essere taccheggiata".


Eh sì, la scena del crepuscolo zombi (resa leggendaria dalla morte dei loro oppositori, romantica sì ma pur sempre morte morte, non morte provvisoria, cioè da non-morti) venne riproposta più volte sulla Prima Rete. Vista e rivista. E il mondo si adeguò al modello proposto. La popolazione in massa accettò il contagio.
E tutto si mescolò.
Molti credevano che gli zombi non si attaccassero tra di loro. Per un presunto patto viscerale. In realtà era un atteggiamento di comodo e quando divennero la stragrande maggioranza la fame si ritorse contro gli altri affamati.
Le strade brulicarono di assassini al rallenty. I campi divennero sede di cannibalismo civile.
E fu poltiglia.
Neanche i primi organizzatori, i Coloni, vennero risparmiati. Ancora una volta, ahimè, uguaglianza e terrore.
A un certo punto rimaneva ancora in piedi un'unica isola non imbrattata, al centro del mondo: lo Studio 1.
Ma anche quegli argini telestatali erano destinati a cedere. L'Italia che dopo sei secoli torna ai vertici del mondo, trashendendosi.
Nell'ultima puntata infatti Sposini non si limitò solo a incitare al Cadaverismo ma, per attirare e convincere i superstiti razionali e i passionali cronici (quindi le unità ancora categorizzabili e "vigili"), portò in studio due esche di qualità.
Gli umani, non potendo non guardare quell'ultimo spettacolo (anche solo per senso critico o entusiasmo da ultima puntata), si sarebbero convinti.
Così fu (organizzato).
Nell'emisfero sinistro dello studio, sotto una campana di vetro in stile "Lascia o raddoppia?" c'era Morgan, vivo e intento a dare spiegazioni puntigliose sulle ragioni sociali e artistiche per non essere zombizzati. La sua raucedine scoordinata e i suoi castelli di look e di giochi di parole arzigogolati furono un ottimo incentivo verso la Non-Morte. Cervelli circondati da decomposizione come possono accettare canzoni sull'art déco? Tra l'avanguardia e la demenza scelsero la seconda (che in realtà non era poi così distinta dalla prima). Il morbo "rallentaneuroni" costava meno di droghe sintetiche. Entrarono tutti a far parte del Popolo Violaceo. [Per inciso, non si seppe mai se Morgan divenne zombi -per opporsi alle sue opposizioni- oppure visse da non-zombi tra gli zombi travestito da zombi come Bill Murray in Zombieland, perchè da allora nessuno si accorse più di lui.]
Rimaneva da convincere solo gli irriducibili dell'altro Popolo. Quello della Libertà. Gli imitatori del Cavaliere, senza testa, dopo l'epidemia. I passionali. A questa funzione adempiva l'altro emisfero dello studio: quello destro, appunto. Lì era legata a una colonna la dea della tv. Nuda e vivissima. Biondona generosa in bella mostra. Con un branco di bestie umanoidi guinzagliate attorno a lei, distanti tanto da non poterla divorare ma tanto poco da arrivare con la punta della lingua viscida fino all'estremità di quei seni enormi. Solo lei infatti, la giunonica e sempreverde Mara Venier, poteva garantire il pienone. Tutti vollero far parte del copione. L'intero sovramondo satellitare, televisivo e telematico venne così colonizzato. [N.B.: zombizza neuroni e coglioni e il resto verrà di conseguenza.] Infatti Mara si concesse proprio a tutti, a turno. Morbida, democratica, da allora internazionalpopolare. Ultima icona immortale. Diva. Immortale, prima che le catene cedessero nello studio. E fuori. E ogni forma di vita aderisse al dharma sdentato. E l'identità diventasse appunto "senzadentità".
Venne il giorno. E tutti furono zombi.
La Terra tremò. Bruciò. Ma soprattutto barcollò sotto quell'avanzamento sciancato.
Eppure continuò a girare...: cicli.
Compatta eppure diversa, o meglio raccolta e differenziata...: ricicli.
Ecco. Ecco realizzato il sogno ecologista: essere parte integrante della natura.
Sorte macabra che si trasforma in rinascita circolante grazie a imprevisti e imprecisioni.
L'inesattezza principale, come detto, era quella di sostenere che i morti viventi risparmiassero i loro simili. Niente di più falso. E dunque la più grande fortuna, inaspettata, fu che, in mancanza di fazioni avverse, le carcasse semivive si sfamarono a vicenda.
In questo modo la decomposizione continua, seguita da incessanti alzate di pugni ossuti che spuntavano nuovamente dal sottosuolo e poco dopo venivano risotterrati (e così via), rese la terra humus planetario. E noi rinascemmo dal concime.
Pian piano, tra faide postanimalesche e aiuti a rimettersi in piedi e rivedere la luce al di fuori dei tumuli, tornò la normalità. Fummo come nuovi.
Il globo fu salvo. Noi pure. Sano e sacrosanto karma rigenerante.
Le previsioni della frangia ottimista dei guru verdi si avverarono. Il futuro profumò di religio banale ma efficace. Salvezza che sorge da un passato strumentalizzato dall'uso di libri sacri e trasmissioni televisive vaticane. La nuova escatologia si concretizzò, riaffermando ciò che in fondo in fondo già ci era stato detto da culti antichi:
all'apocalisse segue naturalmente la resurrezione della carne.
Fu davvero New Age.

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